Amedeo Ricucci
01.11.2011 – Possono i lettori (e i radio o tele-spettatori) cautelarsi contro le notizie false, tendenziose o scorrette? Al momento no. Non hanno alcuna difesa. Ed è un paradosso. Perchè ci viene detto sempre che l’informazione è una merce come le altre, soggetta per forza di cose alle leggi del marketing (o dello spettacolo), ma in realtà noi consumatori di notizie non possiamo controllare le “etichette” di quello che ci viene propinato ogni giorno da giornali, radio e Tv – come fanno incece tutti gli altri consumatori, al supermercato – per il semplice fatto che queste etichette non ci sono oppure vengono omesse. Con grave danno dei nostri diritti, sanciti dalla Costituzione e anche da diverse Carte Deontologiche che regolamentano la professione giornalistica.
Basta ad esempio sfogliare i settimanali femminili per rendersi conto che molti articoli veicolano pubblicità, su prodotti vari, camuffata da notizie. E lo stesso si può dire delle riviste di viaggio, per quanto riguarda sia le destinazioni che gli hotel o i ristoranti. Per non parlare dell’informazione scientifica, su ritrovati, cure e studi. Niente segnala, in questi articoli, che siamo in presenza di una pubblicità e non di una notizia. Ma di questo si tratta, anche se ci troviamo nelle pagine di cronaca o di esteri. E sia il giornalista che il giornale vengono meno al patto di trasparenza che dovrebbe legarli al loro pubblico, che stanno semplicemente abbindolando, come alle fiere di paese. Il discorso poi si complica (e si aggrava) se passiamo all’economia e alla politica. Come fidarsi di un’intervista a uomo politico fatta da un giornalista che fino a pochi mesi prima era il suo addetto-stampa ? Ce ne sono tutti i giorni, e tutte in stile “tappetino”. Ma sono lecite, perchè non c’è nessuna norma che vieta di passare da un mestiere all’altro. Così come non c’è nessuna norma che vieta a un conduttore di presentare in tv – e succede anche in Rai, che dovrebbe essere un servizio pubblico - i libri dello stesso gruppo editoriale per cui si pubblica o si lavora.
Squisquilie? Non direi. La commistione (anche velata) fra un messaggio pubblicitario e la vera informazione è una vera e propria frode. E come tale andrebbe perseguita. Mentre il diritto alla trasparenza – a cominciare dalle proprietà dei vari gruppi editoriali – è parte integrante del diritto ad un’informazione libera e corretta. Nei Paesi anglo-sassoni esiste da tempo la figura dell’ombudsman, il garante dei lettori. Il quale ha uno spazio fisso sulla sua testata e veglia, anche su indicazioni dei lettori, sulla correttezza delle informazioni contenute nel giornale. In Italia, l’esperimento è stato tentato da Repubblica, qualche anno fa, ma è subito rientrato. Ci fosse stato un ombudsman in Rai, avrebbe avuto un esito migliore la protesta contro il TG 1 di Minzolini, quando omise la notizia della condanna di Mills nel processo controSilvio Berlusconi, senza mai procedere a rettifiche. Ed eviteremmo anche piccoli e grandi conflitti d’interesse, degli editori come dei giornalisti, molti dei quali predicano bene e razzolano malissimo. Forse è il caso che l’Ordine e la FNSI si rimbocchino le maniche e affrontino la questione.
[pubblicato il 1° novembre 2011 su amedeoricucci.it]
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