Enzo Marzo*
Ci sono migliaia di ragazzi che desiderano essere giornalisti. Si industriano in ogni modo, vengono ricompensati con una miseria, e ben che vada, entrano a fatica nella gran massa dei precari la cui libertà intellettuale, condizione minima del lavoro giornalistico, non è garantita affatto.
Alcuni di loro hanno una tale passione che per svolgere comunque questa professione corrono seri rischi personali. Ovviamente gli editori li sfruttano e li "normalizzano" in poco tempo. È una situazione "disperata" che avrebbe bisogno, per essere affrontata, di un sussulto di impegno "politico" e morale dell'intera categoria e dei cittadini tutti. Questo per dire che noi giornalisti italiani siamo davvero allo sbando se siamo costretti invece a discutere di un caso marginale che non sarebbe mai dovuto nascere, che rischia di porre la pietra tombale sull’informazione italiana. E che è di facilissima soluzione, se si vuole.
Ci riferiamo all’ennesimo caso Farina. Non tutti i lettori sanno chi è questo gentiluomo. È presto detto: è un giornalista radiato sette anni fa dall'Ordine professionale perché, prezzolato, svolgeva due lavori, come Arlecchino. Era contemporaneamente servo della professione e servo dei Servizi segreti, col nome in codice Betulla. Già fu vergognoso che per radiarlo l'Ordine di Milano, dopo una ridicola sospensione soltanto di un anno, dovette cedere alla sollecitazione addirittura della Procura della Repubblica. Poi, sapete com'è fatto il nostro paese, alla radiazione per aver provocato "un gravissimo discredito per l'intera categoria" ha corrisposto l'irresistibile ascesa di "Farina"-“Betulla”-"Dreyfus", giornalista uno e trino, che è andato a fare compagnia ai Razzi, agli Scilipoti, ai De Gregorio diventando persino deputato. Non scrivo “onorevole” per decenza. Constatato che il malaffare porta al trionfo, con qualche sotterfugio Farina e il suo direttore “per grazia ricevuta”, Sallusti, hanno continuato a violare le norme deontologiche (e per questo il direttore è stato condannato a un paio di mesi di sospensione su iniziativa della Società Pannunzio per la libertà d'informazione). Per altri imbrogli invece Farina si è fatto un'altra bella condanna penale a più di due anni. Pensavamo, quindi, che Farina, soddisfatto per aver trovato una cuccia nel “partito degli onesti”, finalmente si fosse acquietato, satollo del suo "successo". E invece no. All’improvviso e sorprendentemente si è venuto a sapere che l'Ordine di Milano, su sua richiesta, lo ha reintegrato nella professione giornalistica. Annullando la radiazione. C'è da dire che, a complicare le cose, il caso Farina è al centro di un guazzabuglio giuridico, perché “Betulla”, per evitarsi la radiazione, si dimise qualche giorno prima della “sentenza” dell’Ordine, il quale però ugualmente prese la decisione. La Cassazione ha sostenuto poi che la radiazione era illegittima perché non si poteva applicare a un soggetto che in quel momento non era più iscritto. Il meschino espediente non credo che possa giovare un granché a Farina.
Come si diceva una volta, "il problema è politico". La categoria dei giornalisti può avere al suo interno un personaggio di tal fatta? Certo che no. Già siamo stati gravemente titubanti nell'espellerlo, adesso riammetterlo è assolutamente vergognoso e ci fa cadere tutti, anche i dissenzienti, anche i dimissionari (speriamo molti), in quel calderone maleodorante di sotterfugi, di furberie, di assenza di etica pubblica, di malaffare che ha invaso come una metastasi l'intero paese. Già siamo, noi giornalisti, abbastanza screditati. Vi prego, non mettiamoci la pietra al collo per affondare definitivamente. Inoltre, la questione giuridica è facilmente risolvibile perché qualunque sia la tesi scelta il risultato può non cambiare.
Prima tesi. Se si accettano le ragioni "formali" della Cassazione, la radiazione non c'è mai stata e, quindi, è anche nulla l’indecorosa decisione dell'Ordine di Milano di settembre di annullare una radiazione inesistente. Sul tappeto rimangono le dimissioni e quindi un'uscita volontaria di Farina dall'Ordine. Se Farina, consumata la sua furberia, vuole intraprendere di nuovo la professione giornalistica, faccia, come un qualunque Mario Rossi che intende iscriversi all’Ordine, il suo bravo praticantato di 18 mesi, il suo bravo esame professionale e lasci valutare dai suoi colleghi se il suo pedigree e la sua personalità sono confacenti a quel minimo di decenza che si richiede a un giornalista, a tutti giornalisti. La sua bocciatura in quella sede sarebbe anche una bella lezione per tutti i furbacchiotti come lui, che per evitarsi un gravissimo provvedimento disciplinare se la svignano prima.
Seconda tesi. Se invece l'Ordine decide di prescindere dall’interpretazione della Cassazione (ma non si vede come possa farlo) e conferma di avere avuto il diritto di radiare un giornalista dimesso, non si vede proprio come oggi possa rimangiarsi la radiazione, soprattutto se si tiene presente che Farina ha continuato pubblicamente a non tenere conto assolutamente del fatto che poco si addice al giornalista una pratica di sotterfugi, di menzogne, di condanne.
Aggiungo, anche se per i lettori avvertiti non ce n’è bisogno, che tutta questa vicenda squallida non investe nel modo più assoluto il diritto garantito a ogni cittadino dalla Costituzione di esprimere il proprio pensiero, quindi anche a Renato Farina, il quale può scrivere come e dove vuole, firmandosi con le sue qualifiche del momento. Quindi la radiazione non conculca alcun diritto. Non si vuole mettere il bavaglio a nessun cittadino. Non si crea nessun martire. Ma la professione giornalistica è altra cosa. E non si capisce per quale privilegio si dovrebbe concedere la possibilità di svolgere un regolare e ufficiale lavoro giornalistico, che richiede precise qualità professionali e deontologiche, a chi con i fatti ha smentito ripetutamente di possederle. Tutto qui.
(*) Portavoce della Società Pannunzio per la libertà d'informazione
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