Amedeo Ricucci
30.01.2012 – E’ vero che Lenin lo teorizzava, ma fare un passo avanti e due indietro non sempre è opportuno, né tanto meno rivoluzionario. Può succedere infatti che si sprechino occasioni preziose, che si diano risposte sbagliate ad esigenze giuste, oppure che la montagna partorisca un topolino.
Mi riferisco alla proposta, avanzata di recente a Milano nell’ambito di un convegno promosso da LSDI, di istituire un “difensore civico dell’informazione” per vigilare sulle violazioni delle norme deontologiche da parte delle testate giornalistiche e in particolare sulle commistioni fra informazione e pubblicità. A renderlo necessario sarebbe oggi la percezione assai diffusa – evidenziata peraltro da una interessante ricerca dell’Università di Urbino e dell?ordine dei Giornalisti- che la pubblicità condizioni sempre di più la linea editoriale delle testate e che, comunque, le norme deontologiche siano troppo spesso disattese e vadano perciò riviste. Da qui la necessità di un garante che agisca a nome e per conto dei cittadini-lettori e di quelli radio-telespettatori, sul modello del difensore civico che già esiste in altri ambiti, ad esempio in quello bancario, per tutelare il diritto ad una informazione corretta e alla massima lealtà da parte del giornalismo professionale.
L’idea, per carità, è sacrosanta ed è stata accolta favorevolmente sia dall’ordine dei Giornalisti che dalla Federazione Nazionale della Stampa. Il rischio però è che la montagna partorisca il solito topolino, per di più senza poteri, cosa di cui francamente non si sente il bisogno. Mi spiego. Leggendo le nuove Linee Guida di Riforma dell’Ordinamento Giornalistico approvate dal Consiglio Nazionale dell’Ordine il 19 gennaio si scopre infatti che saranno sempre i giornalisti a giudicare i giornalisti, con tutti i problemi – ma sarebbe più giusto parlare di conflitto di interessi – che questo comporta. Ad esercitare in futuro l’attività disciplinare all’interno della categoria – sempre secondo il nuovo testo licenziato dall’Ordine – saranno due diversi Consigli, uno costituito su base regionale e l’altro su base nazionale, i cui membri sarranno però eletti sempre fra gli iscritti all’Albo, sia pure fra i giornalisti senior e con un alto profilo. A garantire invece quel principio di “terzietà” che le nuove disposizioni di legge – ed anche il buon senso – oggi impongono sarebbe la figura di un “Garante dei Cittadini”, con il compito di segnalare le eventuali violazioni deontologiche ai Consigli di Disciplina Regionali.
Tutto qui. Certo, a Milano è stato fatto un passo avanti. Nel senso che la proposta avanzata prevede che il “difensore civico dell’informazione” possa agire da “pubblico ministero”, istruendo perciò dossier specifici, di propria iniziativa o su segnalazioni dei cittadini. Ma la sostanza delle cose non cambia, perchè la figura a cui si pensa non avrà alcun potere giudicante e potrà solo fungere da interfaccia fra la società civile e la corporazione dei giornalisti, cui spetterà sempre l’ultima parola. Saranno imparziali i membri dei due Consigli di Disciplina di fronte ai colleghi che violano la deontologia professionale? E poi, chi si occuperà delle violazioni che riguardano gli editori, che delle notizie false o tendenziose sono spesso i mandanti? Non sono bazzecole, ma questioni dirimenti.
All’estero, a dire il vero, le cose vanno un po’ meglio. E la situazione, dal punto di vista dei diritti del lettore, mi pare meno mortificante. Diverse testate si sono dotate infatti, da anni, di un ombudsman che rappresenta i lettori, in piena autonomia e senza compromessi né con la proprietà né con la redazione. E’ il caso di Le Monde, dove opera un “mediatore” fin dal 1994, con una sua rubrica fissa settimanale sul giornale, cui viene dato ampio risalto. Una scelta analoga è stata fatta da molte testate prestigiose – dal New York Times al Washington Post - ed anche se la rivoluzione in corso nel mondo dei mass media ha prodotto nuove forme di vigilanza e di controllo sull’operato dei media questa scelta ha ancora una sua ragion d’essere, anche se è meno praticata rispetto al passato. Rispetto alla soluzione paventata per l’Italia, la scelta di un ombudsman per le testate mi pare più rispondente alle esigenze dei lettori. I quali acquistano un prodotto ed hanno il diritto alla correttezza ed alla trasparenza, indipendentemente dal fatto che a violare la deontologia sia stata la proprietà, oppure un giornalista o un fotografo. Quello che conta è che siano deterrenti efficaci, che facciano il loro lavoro.
D’altra parte – come già ho avuto modi argomentare in un post precedente - il vero paradosso è che si parla tanto dell’informazione come di una merce ma noi consumatori di notizie non possiamo controllare le “etichette” nè gli “ingredienti” di quello che ci viene propinato ogni giorno da giornali, radio e Tv – come fanno invece tutti gli altri consumatori, al supermercato – per il semplice fatto che queste etichette non ci sono oppure sono contraffatte. A chi rivolgersi, dunque? La Società Pannunzio per la libertà d’informazione ha varato già qualche anno fa una bozza di statuto per i diritti dei lettori, che mi pare ricca di spunti. Forse è da qui che bisogna ripartire.
[pubblicato il 30 gennaio 2012 su amedeoricucci.it]
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