Redazione
12.10.2010 – Intervista a Enzo Marzo su "Il Fatto Quotidiano"
di Paola Zanca
Nietzsche lo spiegherebbe come l’eterno ritorno, una combinazione di eventi che può ripetersi infinite volte. Ma forse in questo caso non serve scomodare filosofi: “È che li ha allevati lui…”. Enzo Marzo, portavoce della Società Pannunzio per la libertà d’informazione, ha una spiegazione molto più familiare per descrivere il destino comune di Vittorio Feltri e dei suoi allievi, Alessandro Sallusti e Nicola Porro. Prima la sospensione dall’Ordine dei giornalisti per il padre professionale, oggi i procedimenti aperti contro i figli cresciuti nella scuola dei dossier. Se siamo qui a parlarne, è grazie agli esposti presentati da Marzo e dagli altri promotori dell’associazione. Che, come da copione, hanno già subito il “trattamento Boffo”.
Marzo, su Il Giornale dicono che usate il nome del fondatore del Mondo abusivamente, che siete “comunisti”, “giacobini”, “laicisti”. Tutto perché avete chiesto all’Ordine della Lombardia di radiare il direttore Sallusti e il suo vice Porro?
Noi siamo un’associazione trasversale, a cui partecipano cittadini e giornalisti di tutti i versanti politici. Ci rimproverano di avere tra noi nomi come Zagrebelsky, Giorello… dovrebbero mettersi in ginocchio. Però il metodo ha colpito nel segno: ci sono arrivate tonnellate di lettere di protesta, ci fanno passare per quelli che vogliono imbrigliare la libertà di stampa, invece non hanno capito qual è il punto.
E qual è?
È che noi non abbiamo denunciato Sallusti e Porro per aver minacciato l’inchiesta sulla Marcegaglia. Li abbiamo denunciati per non averla fatta. Con l’aggravante di aver fatto una terribile gaffe: pubblicando i pezzi sulla presidente di Confindustria del Fatto o de L’espresso hanno implicitamente riconosciuto che sono due anni che prendono buchi. Noi non siamo contro le inchieste, contro le notizie, magari le facessero. È che per due anni non le hanno date.
Un anno fa avevate denunciato Vittorio Feltri, che allora era direttore, per il caso Boffo. In quel caso lui sostenne di averlo dato agli altri giornali, il buco…
Quello non era un problema di contenuti, era un problema deontologico. Feltri, anche nella rettifica, non ha mai voluto ammettere di aver passato una velina come atto giudiziario. Lui ha mentito dolosamente ai proprio lettori, ha rifilato una patacca. Ma taroccare le fonti e minacciare dossier non è giornalismo, è un problema di criminalità comune.
Ne aveva mai visti?
Ai miei tempi il ricatto era economico. Si pubblicava un’inchiesta sull’Eni e in fondo scrivevano: ‘Prima puntata di otto’. Ma le altre sette non ce le avevano! Aspettavano la domanda fatidica: ‘Quanta pubblicità vuoi?’. Ora il ricatto è politico.
Si chiama conflitto di interessi?
Nel nostro esposto all’Ordine della Lombardia abbiamo anche sollecitato un’inchiesta sulla legittimità dell’assetto proprietario del Giornale. La legge Mammì proibisce l’accentramento, nelle stesse mani, di giornali e canali tv. Il presidente del Consiglio si è avvalso di mezzucci risibili per aggirarla.
Anche Feltri, per aggirare il rischio della condanna dell’Ordine, si è dimesso da direttore, lasciando il posto a Sallusti. Peccato che ora lo schema rischia di saltare un’altra volta.
Il 18 ottobre il Consiglio della Lombardia ha convocato una riunione straordinaria per valutare il caso Sallusti-Porro. Ma tre giorni dopo si deciderà anche su un altro procedimento aperto contro Sallusti, accusato di aver fatto scrivere Renato Farina, già radiato dall’Ordine per essere a libro paga dei servizi segreti.
A quel punto, senza direttore, Il Giornale non potrebbe andare in edicola.
Non è questo l’obiettivo. Vorrei solo che questi energumeni smettessero di fare giornalismo. Soprattutto perché già adesso non lo fanno.
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