L'arte di strisciare
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Errare humanum est, falsificare diabolicum

Società Pannunzio

12.04.2010 – Renato Farina e Alessandro Sallusti

LETTERA INVIATA DALLA SOCIETÀ PANNUNZIO AL DIRETTORE DI "PANORAMA", GIORGIO MULÈ

 

Una replica, alcune precisazioni e una notizia


All’attenzione del Direttore di “Panorama”
Giorgio Mulè

Roma 11 aprile 2010

Egregio direttore,

abbiamo letto con grande interesse la rubrica di Vittorio Feltri sulla sospensione per sei mesi dall’Ordine dei giornalisti. Poiché è stata la Società Pannunzio per la libertà dell’informazione a presentare l’esposto che ha aperto presso l’Ordine la procedura contro Feltri per il caso Boffo (non quello su Farina, su cui abbiamo chiesto solo spiegazioni), credo che abbiamo il diritto di replicare alle informazioni scorrette che il corsivo redazionale e il pezzo di Feltri hanno fornito ai lettori di “Panorama”. Nonché anche fornire alcune precisazioni e una notizia.

Nel corsivo anonimo si scrive: «Ma qual è il peccato di Feltri? Aver scritto una notizia vera con un particolare falso». Nessun peccato, ma non c’è stato un particolare falso, bensì l’attribuzione di una informativa anonima al Tribunale di Terni, sui cui si è imbastita l’intera polemica e l’accusa di omosessualità a Boffo.

  1. Feltri riconosce di aver attinto a «un documento non ufficiale», ma ora dice di averlo «scambiato per tale». Qui Feltri non fa onore alla sua professionalità. Come fa un direttore come lui, avendolo in mano, a scambiare un pasticciaccio di fonte oscura e col linguaggio da caserma (ricordate l’«attenzionato») con un carta processuale? Non sa che i documenti di Procura hanno tutti un’intestazione? In effetti non è stato un errore di quelli in cui non incorre nemmeno un praticante, ma una falsificazione cosciente per dare autorevolezza a un documento che non l’aveva. Così un grande direttore come lui insegna il giornalismo ai suoi redattori?

  2. Feltri scrive: «Concordiamo una rettifica, e io la inserisco in prima pagina». Invece non c’è stata alcuna rettifica sul punto dolente (che è stato il vero oggetto del nostro esposto e della decisione dell’Ordine), ma solo sul contenuto del documento in questione. È inutile che Feltri si difenda da qualcosa  di cui non è accusato e sorvoli sulla reale falsità). I lettori del “Giornale” ancora non hanno avuto l’onore di conoscere in che consistesse la falsificazione della fonte. Stendiamo, poi, un velo pietoso sul fatto che la rettifica scorretta violava la lettera dell’art. 8 della legge sulla stampa e aveva il particolare patetico dell’errore nell’indicazione della “girata”, tanto per confondere i lettori.

  3. Feltri su un argomento ha perfettamente ragione. Nel caso Farina, fa notare che il giornalista radiato ha scritto su “Libero” anche sotto la direzione di Alessandro Sallusti, che «non è stato sanzionato». Effettivamente ci era sfuggita la notizia. Lo ringraziamo e possiamo testimoniargli la nostra correttezza comunicando che, per rimediare, abbiamo provveduto a presentare all’Ordine lombardo un esposto anche per Sallusti. E siamo convinti che l’Ordine sarà ugualmente equo.

  4. Feltri: «Perché a parità di colpe io mi becco sei mesi e il collega se la cava (e ne sono lieto) con l’"ammonizione"? Mistero». Il mistero è presto svelato: il redattore nel suo articolo non citava la fonte e quindi non ripeteva la falsificazione. Tutto qui.

  5. Circa i giudizi sull’esistenza di un Ordine dei giornalisti concordiamo con Feltri: io stesso, come molti di noi, sono contrario. Ma perché crediamo che il corporativismo non giovi alla professione giornalistica, non perché lo vediamo proteggere i «manovratori di regime». Se cosi fosse non avrebbe neppure sfiorato Feltri. È invece paradossale che si parli della soppressione dell’Ordine solo quando – su nostra spinta – finalmente ha riconosciuto e conseguentemente sanzionato una grave violazione deontologica. A tale proposito, ci riserviamo comunque un giudizio più circostanziato dopo la delibera finale dell'Ordine nazionale, proprio sul caso Feltri.

Non usiamo «due pesi e due misure», teniamo davvero alla libertà d’informazione. E non guardiamo in faccia a nessuno. Se Feltri ha notizie di violazioni ce le indichi. Noi interverremo.

 

Cordiali saluti

Enzo Marzo,
Portavoce della Società Pannunzio per la libertà di informazione

 

AGGIORNAMENTO AL 18 APRILE 2010: IL DIRETTORE DI "PANORAMA", GIORGIO MULÈ, NON HA PUBBLICATO NE' QUESTA LETTERA NE' ALCUNA PRECISAZIONE.

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'Panorama' dell'8 aprile 2010, pagg. 74-75 Feltri: Due pesi, due misure e un bavaglio
L’Ordine dei giornalisti mi sospende per sei mesi (e non è la prima volta).
Ma il provvedimento sembra una punizione di natura politica.

E dunque per Vittorio Feltri alla fine bavaglio fu. Possiamo dire che a noi questo bavaglio puzza di doppiopesismo? Perché Feltri va imbavagliato senza se e senza ma, senza attentare alla libertà di stampa e al diritto di parola. Canta fuori dal coro, lui, non attacca Silvio Berlusconi, anzi lo difende pure e, orrore su orrore, dirige il giornale del fratello del premier. Quando il Tribunale del popolo giornalista (lo chiamano Ordine, è più a modo) ha comminato la sua condanna al direttore del Giornale, siamo andati a cercare sui quotidiani, nei blog, tra i popolani viola dalla piazza facile, tra i commentatori di sinistra e gli scrittori che nei cassetti tengono i moduli prestampati per le raccolte di firme, le loro proteste in nome della libertà di parola. Nulla. Che ci fossero sfuggite le loro prese di posizione accecati com'eravamo dai nostri preconcetti? No, non c'era una riga. Abbiamo dunque capito che, in questa Italia dell’informazione corretta, i Santoro devono poter dire quel che vogliono e condannare senza prove chi gli fa saltare la mosca al naso in diretta dalla tv pubblica, mentre Feltri va fermato subito. Il Tribunale dei giornalisti ovviamente ci dirà che questa è mistificazione, che le regole (dentro la Casta) vanno ripristinate quando qualcuno le infrange e così via. Ma qual è il peccato di Feltri? Aver scritto una notizia vera con un particolare falso (Dino Boffo, direttore di Avvenire, aveva patteggiato una condanna per molestie ma non esisteva alcuna informativa che lo indicava come omosessuale). Vogliamo sospendere dalle funzioni e dallo stipendio (e magari privarli anche della cittadinanza a tempo determinato, così imparano questi mascalzoni?) tutti quelli che incappano in un errore del genere nel nostro mestiere? E poi chi li firma i giornali? No, Feltri andava lapidato perché è Feltri. Se poi aggiungete il secondo peccato, la lapidazione doveva essere doppia. Feltri ha fatto scrivere Renato Farina anche se il Tribunale dei giornalisti lo aveva radiato per la sua collaborazione con i servizi segreti. Badate bene, Feltri non disse che Farina aveva fatto bene, disse soltanto che voleva che continuasse a esprimere le sue idee. E no, dove pensi di andare, direttorucolo? Se il Tribunale ha cacciato il reprobo Farina dal Paradiso delle firme, tu devi adeguarti. E così zac, seconda condanna. Il diritto di parola esiste ma quelli del Tribunale dei giornalisti lo revocano a loro piacimento. Ne pensiamo tutto il male possibile. E a Feltri che tiene una rubrica settimanale su Panorama, abbiamo deciso di raddoppiare la pagina. Che il Tribunale si riunisca.

di Vittorio Feltri

Professionisti a parte, pochi in Italia sanno cosa sia l’Ordine. Me ne sono reso conto negli ultimi giorni dopo che quello dei giornalisti ha avuto la felice idea di sospendermi sei mesi dall’Albo, sanzione che se fosse confermata in appello mi impedirebbe per 180 giorni di lavorare. Praticamente condannato a una temporanea disoccupazione in un paese accusato di battere la fiacca. Non sono l’unico ad avere avuto simile «privilegio» e sarebbe assurdo mi atteggiassi a vittima.

Non è questo il punto. Molti amici, conoscenti e lettori mi hanno chiesto perché mi sia iscritto all’Ordine dei giornalisti e perché non mi dimetta. Il problema è che se non mi fossi iscritto (41 anni fa) non avrei potuto svolgere il mio mestiere: nessun giornale mi avrebbe assunto, non avrei avuto copertura pensionistica né assicurativa, non avrei ricevuto lo stipendio. E se ora mi cancellassi dall’elenco dei «patentati», avrei forse facoltà di scrivere (sottolineo forse) ma non quella di guidare una qualsiasi testata.

L’Ordine esiste solo in Italia, retaggio del fascismo che amava le corporazioni per vari motivi, tra cui poterle controllare e punire chi sgarrasse, in modo che la libertà di stampa fosse condizionata all’esigenza di non disturbare i manovratori di regime. Morto il Duce, l’Albo, anziché essere soppresso, perché la democrazia per definizione rifiuta di legare al guinzaglio gli addetti all’informazione, è stato perfezionato e trasformato in Ordine. Il quale, se ha un minimo senso per i liberi professionisti, non ne ha affatto per i giornalisti che sono dipendenti, impiegati di lusso, e che per diventare tali o trovano un editore che li inserisca in organico oppure fischiano l’Aida.

Non importa. L’Ordine c’è, i governi di centro, di centrosinistra e di centrodestra succedutisi in mezzo secolo e oltre non hanno mai avuto voglia di eliminarlo nel timore di scontentare non si sa chi. E si va avanti con la corporazione dominata, come tutto in Italia, dalla sinistra e che, consapevolmente o no, considera bravi e buoni e onesti i colleghi di sinistra, e quindi intoccabili, ed è pronta a colpire con durezza quelli di destra atttraverso procedimenti disciplinari e giudizi emessi non da magistrati, bensì da altri colleghi eletti da un decimo della categoria, dato che il 90 per cento di essa non partecipa nemmeno alle votazioni.

Di conseguenza l’Ordine è un ente per nulla rappresentativo degli iscritti e traduce, in pratica, la volontà «rieducativa» di una parte politica, come si evince anche dalle sanzioni comminate recentemente, quasi tutte contro colleghi non allineati. A Claudio Brachino, direttore di Videonews (Mediaset), due mesi di sospensione per un filmato che mostrava i calzini turchese del giudice autore della sentenza sul lodo Mondadori; a me sei mesi per il caso Boffo e il caso Farina, e ora sarà la volta di Augusto Minzolini, direttore (del Tg1) detestato dall’opposizione.

Sulla natura politica delle punizioni c’è più di un sospetto. Infatti mentre su vari quotidiani e tv antigovernative si legge e si vede di tutto (insulti, processi sommari, insinuazioni, pentiti e prostitute che parlano a ruota libera), e l’Ordine non muove un dito, se viceversa qualcuno di idee diverse osa pubblicare o fare cose fuori dalla routine, finisce sotto inchiesta e scatta la pena. La disparità di trattamento è talmente clamorosa da meritare non una riflessione, ma un intervento risolutivo.

Dispiace tornare sulla vicenda. Ma serve a comprendere come funziona il giochino. Il Giornale scrisse che Dino Boffo, allora al timone dell’Avvenire, era stato condannato per molestie sessuali. E aggiungemmo (attingendo da un documento non ufficiale ma da noi scambiato per tale) che lui è omosessuale. Tre mesi più tardi l’avvocato del direttore si fa vivo con documenti secretati e dimostra che nel fascicolo giudiziario non si fa cenno ai gusti sessuali del suo cliente. Concordiamo una rettifica, e io la inserisco in prima pagina. Incidente chiuso. Rimane la verità che le molestie sono reato, mentre l’omosessualità no.

L’Ordine sottopone l’inviato, che aveva compilato il servizio di cronaca e verificato, nel limite del possibile, le notizie, e sottopone pure me, autore del commento relativo, a procedimenti disciplinari. Risultato, l’inviato (giustamente) viene solo censurato (per intenderci, cartellino giallo), io – incolpato per lo stesso motivo – vengo sospeso sei mesi. Perché a parità di colpe io mi becco sei mesi e il collega se la cava (e ne sono lieto) con l’«ammonizione»? Mistero.

C’è dell’altro. Io vengo punito (due mesi di sospensione abbondanti) anche per avere consentito a Farina di scrivere articoli (benché radiato) pensando che fosse un cittadino qualunque col diritto di esprimere il proprio pensiero. Il verdetto mi è stato comunicato quando La Repubblica lo aveva già stampato, a dimostrazione che tra il quotidiano e l’Ordine c’è un filo diretto. Brutta storia. Da notare che Farina aveva scritto su Libero anche con la direzione di Alessandro Sallusti, che non è stato sanzionato, mentre io sì. Perché. Altro mistero.

Il terzo e ultimo mistero non è Boffo e neppure buffo: una decina di anni orsono l’Ordine della Lombardia si adoperò per radiarmi e non ci riuscì per poco. Voleva farlo avendomi scambiato per il direttore responsabile di Libero, e invece non lo ero. Siamo all’Ordine sparso.


[da "Panorama" dell'8 aprile 2010, pag. 74-75]


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