Enzo Marzo
27.03.2010 – LETTERA INVIATA DA ENZO MARZO, PORTAVOCE DELLA SOCIETÀ PANNUNZIO PER LA LIBERTÀ D'INFORMAZIONE, A "IL FATTO QUOTIDIANO" IN DATA 27 MARZO 2010.
Non sono d’accordo con Travaglio. Il suo editoriale di sabato sul caso Feltri non coglie la vera notizia, che è l’entrata in gioco nella partita dell’informazione di un terzo protagonista, il lettore. Senza l'intervento del “lettore” non si spiega neppure la novità della decisione dell’Ordine lombardo. Senza il “lettore” la Lombarda non avrebbe neppure aperto il caso. Travaglio mostra di credere che esistano solo editori e giornalisti. Altrimenti non si spiegherebbe la sua gaffe sulla sanzione per Farina che «riguarda la burocrazia dei giornalisti e non i lettori». Invece no, sono proprio i lettori ad avere il diritto di sapere se stanno leggendo l’opinione di un parlamentare berlusconiano o un servizio di un ex-giornalista-spia. So bene che questa insensibilità verso i diritti dei lettori è diffusa, ma mi meraviglia in Travaglio (altrimenti oltre alla gaffe si sarebbe accorto che proprio accanto al suo editoriale c’era un’altra prova di come sia ormai di uso comune la violazione di quei diritti).
Non basta dire che si è contrari all’Ordine dei giornalisti (lo sono anche io) per salvarsi la coscienza e acquietarsi in un comodo gioco di ruoli, dove anche i Feltri sono utili. A che serve computare un lungo elenco di violazioni deontologiche se non a legittimare il molto berlusconiano “così fan tutti”, e quindi “troppi colpevoli, nessun colpevole”? È proprio in questo modo che si dà l’assoluzione a Feltri, pianto come «capro espiatorio». Come Craxi. Se «troppi» non hanno «pagato», non vuol dire che non si debba mai cominciare a pretendere l’applicazione delle regole deontologiche. Questo è il compito che ha cominciato a svolgere la Società Pannunzio. Se poi l’Ordine segue, bene; se non segue, condanna se stesso alla liquidazione con più efficacia delle decennali geremiadi di Travaglio (e nostre). Tutto questo a un patto: che non si faccia confusione tra le notizie (anche errate) o le opinioni (anche le più sgangherate) che devono essere assolutamente libere, e l’intervento fraudolento del giornalista. Come nel caso Feltri. Su questo punto Travaglio con i suoi esempi contribuisce a confondere due acque che devono restare rigorosamente separate. Che c’entrano le disparate e tutte legittime ipotesi sulle cadute dei governi con le falsificazioni delle sentenze? Proprio su questo sentiero si arriva dritti alla comica rozzezza dei commenti – di destra e anche di sinistra – su Feltri.
Enzo Marzo, portavoce della “Società Pannunzio per la libertà d’informazione”
QUESTA LETTERA È STATA INVIATA A "IL FATTO QUOTIDIANO" IN DATA 27 MARZO 2010. NON ABBIAMO AVUTO ALCUN CENNO DI RISCONTRO DA PARTE DI MARCO TRAVAGLIO E LA LETTERA NON È STATA PUBBLICATA.
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Feltri e noi
di Marco Travaglio
Che Vittorio Feltri l’abbia fatta grossa è fuor di dubbio: ha spacciato una lettera anonima sulla presunta omosessualità di Dino Boffo per un’informativa di polizia agli atti del processo all’ex direttore di Avvenire. Dunque la sanzione che gli ha inflitto l’Ordine dei giornalisti, sospendendolo per sei mesi dalla professione, è un atto dovuto. I sei mesi assorbono i due ai quali è stato pure condannato per aver seguitato a pubblicare gli articoli di Renato Farina, il giornalista-spia al soldo dei servizi segreti che a sua volta è stato radiato dall’Ordine e ha patteggiato 6 mesi di reclusione per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar, dunque è stato promosso deputato. Ma questa seconda sanzione, pur dovuta finché esiste l’Ordine, riguarda la burocrazia dei giornalisti e non i lettori (chi scrive è convinto dell’inutilità degli ordini professionali all’italiana, ma questo è un altro discorso). La prima invece può diventare un utile argomento di dibattito pubblico, ma a un patto: che Feltri non diventi l’unico capro espiatorio per una colpa – la pubblicazione di notizie false – che non può essergli addossata in esclusiva.
Intendiamoci: anche se davvero la polizia, esorbitando dai suoi compiti istituzionali, avesse compilato un’informativa sui gusti sessuali di un cittadino, Il Giornale avrebbe dovuto cestinarla: non basta che una notizia sia contenuta in un atto ufficiale per essere pubblicata. I giornali non sono discariche in cui riversare di tutto. E lo stesso vale per le intercettazioni: se un giudice, sbagliando, inserisce fra quelle depositate particolari privi di rilevanza pubblica e lesivi della privacy di una persona, il giornalista non li deve pubblicare. E, se li pubblica, la colpa è anche sua, non solo del magistrato (perciò Il Fatto non ha riportato i nastri su Angelo Balducci e i suoi amichetti).
L’idea che i giornali debbano pubblicare tutto, acriticamente, è folle. Eppure la condanna di Feltri lascia un retrogusto amarognolo. Siamo certi che basti una sanzione esemplare per salvare l’anima all’Ordine dei giornalisti? Sono anni, specie da quando il bipolarismo all’italiana ha ridotto la libertà di stampa a guerra per bande fra destra e sinistra, che si pubblicano notizie false su tv e giornali, e nessuno paga mai. La sanzione a Feltri segnala una svolta dell’Ordine? E’ un monito a tutti i falsari della penna che, d’ora in poi, non ce ne sarà più per nessuno? O è una tantum destinata a restare tale? Nel primo caso, l’Ordine potrebbe persino recuperare una ragione di esistere. Nel secondo, tanto vale annullare la condanna di Feltri e tirare innanzi. Qualcuno pagherà mai per avere raccontato che il primo governo Berlusconi cadde per l’invito a comparire sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza (in realtà crollò per merito di Bossi) e che il secondo governo Prodi cadde a causa dell’indagine di De Magistris su Mastella (in realtà Mastella lo rovesciò col pretesto dell’indagine di S. Maria Capua Vetere poi convalidata dai giudici di Napoli)?
Qualcuno pagherà mai per aver convinto milioni d’italiani (anche lettori di giornali "progressisti" o "indipendenti") che Andreotti fu assolto per mafia, mentre fu miracolato dalla prescrizione per il reato "commesso fino al 1980"? Scoprire che prescrizione non è assoluzione solo quando il Tg1 scodinzolino dà per assolto il prescritto Mills è troppo comodo. Prima di Mills sono stati gabellati per assolti, dunque innocenti perseguitati, i dirigenti prescritti della Juventus accusati di doping e il sei volte prescritto Berlusconi. E quand’è che Minzolini farà un editoriale per rettificare l’ultimo, in cui sosteneva di non essere indagato a Trani? Se, dopo Feltri, l’Ordine intende fare sul serio, benissimo: si scrivano poche regole chiare e comprensibili, che consentano a chi sbaglia in buona fede di rimediare al suo errore, e su chi non lo fa cali pure la mannaia dell’Ordine. In caso contrario, molto meglio procedere all’autoscioglimento di un ente inutile, anzi dannoso.
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