Guido Scorza
01.03.2010 – Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato il famigerato Decreto Romani.
Il nuovo testo è, sostanzialmente, analogo a quello precedente dal quale si differenzia per alcune importanti modifiche apportate all’art. 4 a proposito della definizione di “servizio media audiovisivo”.
L’intervento che va nel senso di restringere l’applicabilità della nuova disciplina alla Rete è, innegabilmente, migliorativo ma non soddisfacente.
Non me ne voglia il Vice Ministro ed il suo staff e, soprattutto, non si pensi che io sia “inaccontentabile”.
Il punto è che il nuovo testo consente, probabilmente, di fugare il dubbio che il Governo abbia inteso volontariamente limitare la libertà di informazione in Rete ma, sfortunatamente, non anche di allontare il rischio che le nuove norme producano tale infausta conseguenza.
Il nuovo testo dell’art. 4, infatti, nel definire il “servizio media audiovisivo” stabilisce che con tale espressione debba intendersi:
1) un servizio, quale definito agli articoli 56 e 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi media e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche . Per siffatto servizio di media audiovisivo si intende o la radiodiffusione televisiva, come definita alla lettera i) del presente articolo e, in particolare, la televisione analogica e digitale, la trasmissione continua in diretta quale il lave streaming, la trasmissione televisiva s u Internet quale il webcasting e il video quasi su domanda quale il near video on demand, o un servizio di media audiovisivo a richiesta, come definito dalla lettera m) del presente articolo.
Non rientrano nella definizione di “servizio di media audiovisivo”:
- i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse;
- ogni forma di corrispondenza privata, compresi i messaggi di posta elettronica;
- i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi;
- i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale, quali, a titolo esemplificativo :
a) i siti internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un
servizio non audiovisivo ;
b) i giochi in linea;
c) i motori di ricerca
d) le versioni elettroniche di quotidiani e riviste;
e) i servizi testuali autonomi;
f) i giochi d’azzardo con posta in denaro, ad esclusione delle trasmissioni dedicate a giochi d’azzardo e di fortuna ; ovvero
2) una comunicazione commerciale audiovisiva;
A prescindere da tutta una serie di aspetti lessicali e terminologici che non convincono e sui quali, forse, la penna del Vice Ministro avrebbe dovuto essere più puntuale e rigorosa ci sono, infatti, due elementi che sollevano grandi perplessità e non consentono di esprimere un giudizio favorevole sul nuovo testo del decreto.
Il primo attiene alla tecnica normativa cui ha fatto ricorso il legislatore, dettando una definizione per esclusione esplicita: per “servizio media audiovisivo” deve, oggi, intendersi sostanzialmente ogni piattaforma che importi la diffusione di contenuti audiovisivi salvo gli “oggetti” espressamente individuati dalla norma.
E’ una tecnica di normazione assolutamente inadeguata in relazione alla materia di cui si tratta: la tecnologia va più in fretta del legislatore e, quindi, già domani mattina, dinanzi ad una nuova piattaforma di condivisione di contenuti audiovisivi - ipotizziamo un “video-twitter” - occorrerà provare a collocarla in una delle categorie escluse e, qualora - come appare probabile - ciò non risulti possibile, qualificarla come “servizio media audiovisivo” con ogni conseguenza per il suo gestore.
La seconda riguarda la definizione cui è affidata l’esclusione dei video blog dall’ambito di applicazione delle nuove norme:
Non rientrano nella definizione di “servizio di media audiovisivo”:
- i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva
Un videoblog di modesto successo che raccolga, comunque, pubblicità e che possa considerarsi - per quantità e qualità dei contenuti - in “concorrenza” con la radiodiffusione televisiva, dunque, è un “servizio media audiovisivo” e rientra dunque nell’ambito di applicabilità della nuova disciplina.
Che significa essere “in concorrenza con la radiodiffusione televisiva”?
Se significa che un utente potrebbe scegliere di navigare sul videoblog piuttosto che guardare la TV è un requisito che, probabilmente, integrano la più parte dei videoblog del panorama italiano.
A ben vedere il wording è esattamente quello della direttiva europea ma il legislatore nazionale è chiamato ad “attuare” i principi comunitari e non, semplicemente, a “tradurli”.
Per il resto il decreto è rimasto sostanzialmente eguale a se stesso e, quindi, rimangono invariati tutti i dubbi già espressi (1-2).
Peccato perché - soprattutto se le intenzioni del Vice Ministro erano davvero buone - forse si poteva fare di più.
[da GBLOG del 1° marzo 2010]
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