Massimo A. Alberizzi
04.01.2013 – Subito dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera del 4 gennaio dell’articolo sulle due spagnole da 450 giorni nelle mani di una banda di criminali somali, Medici Senza Frontiere ha chiesto di togliere dal sito di Africa Express del Corriere.it la fotografia che ritrae Blanca Thiebaut e Montserrat Serra, prigioniere dei loro aguzzini, “perché complica gli sforzi tesi a garantire il rilascio” delle due donne. Ho accettato a un patto: che fosse spiegato quali fossero queste complicazioni, che a me non risultano affatto chiare.
Le righe scritte da MSF e pubblicate da Africa Express a commento del pezzo di ieri (e che riporto qua sotto), non spiegano ancora quali siano queste ragioni. Ho tolto la foto, ma nello stesso tempo vorrei spiegare ai lettori quali sono le logiche per cui, quando ci sono notizie, intendo informare anche sui rapiti, sui rapitori e sui rapimenti. Innanzitutto è bene chiarire che si sta parlando di persone sequestrate da organizzazioni criminali e non da gruppi politici, per i quali l’ottica cambia.
Le autorità (tutte, ministeri e forze dell’ordine) chiedono sempre di tenere lo stretto riserbo su queste questioni.
Ma nessuno finora ha risposto dettagliatamente alla domanda: a cosa serve il riserbo? Secondo me solo a far sì che l’opinione pubblica e le famiglie degli ostaggi non si indignino e rimangano quiete, calme e anche un po’ rassegnate. “I tempi sono lunghi”, continuano a ripetere coloro che sostengono di avere in mano le redini del negoziato.
Ma i tempi si allungano solo perché si aprono trattative sull’ammontare del denaro da pagare in cambio della liberazione. Ai sequestratori che chiedono 1000 viene offerto 100, oppure cose del tipo “non paghiamo, ma vi offriamo un lavoro”. Come si usa fare nei suk, il negoziato comincia il suo iter, fatto di ammiccamenti, di silenzi, di rottura dei rapporti e anche di affermazioni piuttosto “singolari” (e lanciate per ingannare!) del tipo: “Tenetevi gli ostaggi, non ci importa nulla”. I tempi lunghi – è bene chiarirlo con grande trasparenza - comportano sofferenze per gli ostaggi.
Cosa accadrebbe, invece, se quando arriva la richiesta di riscatto si pagasse subito? La prigionia degli ostaggi durerebbe pochi giorni, se non addirittura poche ore.
C’è poi chi sostiene aprioristicamente, come MSF, che non si debbano pagare riscatti: “E infatti noi non li paghiamo – ripetono i suoi dirigenti - altrimenti scatta da parte di altri potenziali sequestratori la smania di emulazione”. Una posizione legittima sicuramente, come tutte le altre, ma alquanto curiosa. I potenziali imitatori, infatti, non diventano tali perché leggono il Corriere della Sera. In Somalia – e non solo - tutti sono informati sui rapimenti, conoscono i rapitori e sanno quanto hanno incassato dai riscatti. Di certo le fonti degli epigoni non sono gli organi di informazione e i loro siti web e comunque questa gente non adegua i loro comportamenti a quanto scrivono i giornali sulla carta e su internet.
In questa sede non voglio dare giudizi di merito, sia meglio pagare o sia meglio non pagare. Entrambe le posizioni sono legittime, ma devono essere chiare e trasparenti. E’ bene che le famiglie dei rapiti - nonché quelle di chi parte verso zone del mondo dove si rischia di essere sequestrati - conoscano i pericoli che si corrono e sappiano che l’organizzazione per la quale si va a lavorare non intende pagare un eventuale riscatto.
Ma non solo. Occorre che questo tipo di approccio al problema sia conosciuto dall’opinione pubblica, altrimenti è facile chiedere il silenzio stampa per non far sapere che si pagano inconfessabili riscatti.
Non si può far finta di essere ignari che i criminali sequestrano per soldi, vogliono soldi e liberano gli ostaggi solo se si pagano i riscatti. Come non si possono addurre vaghe e imprecise assicurazioni che le notizie allontanano la liberazione degli ostaggi. Non è vero: l’avvicinano, se chi deve pagare è disposto a pagare. Certo l’allontanano se chi dovrebbe pagare non intende pagare o intende tirare sul prezzo anche a costo di allungare il periodo di prigionia e quindi le sofferenze degli ostaggi.
La mancanza di informazioni e notizie dilata i tempi della liberazione perché spunta le armi all’opinione pubblica e alle famiglie che – se sapessero – potrebbero esercitare forti pressioni su chi dovrebbe lavorare incessantemente e – senza condizioni - per il rilascio degli ostaggi in tempi brevi.
Ecco la richiesta di Medici senza Frontiere:
"Medici Senza Frontiere (MSF) condanna la diffusione di presunte fotografie di Blanca Thiebaut e Montserrat Serra, le due operatrici umanitarie di MSF rapite nel campo rifugiati di Dadaab (Kenya) il 13 ottobre 2011 e portate in Somalia.
La pubblicazione di materiali di questo tipo può complicare gli sforzi tesi a garantire il rilascio di Montserrat e Blanca in condizioni di sicurezza.
Le loro famiglie e MSF sono grate per la discrezione e la solidarietà dimostrate fino a oggi sulla questione da parte dei media internazionali, spagnoli e somali e chiede di mantenere tale atteggiamento di prudenza a tutti i media, mentre si sta lavorando incessantemente per il rilascio."
[Pubblicato su Africa Express del Corriere.it il 5 gennaio 2013]
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