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Garante privacy, nomine fuori legge (UE)

Guido Scorza

22.06.2012 – I nuovi membri dell’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza si sono appena insediati nei loro uffici.

Il primo atto dei quattro membri di nomina partitica – mai come in questa occasione sarebbe ipocrita definirli di nomina parlamentare – è stato quello di nominare il Presidente ed il Vice-Presidente dell’Autorità.

Il Codice privacy, infatti, stabilisce che “I componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto prevale in caso di parità” e che “eleggono altresì un vicepresidente, che assume le funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento”.

Come da copione, le elezioni di cui parla la legge si sono tradotte nella ratifica delle designazioni partitiche e, quindi, Presidente dell’Autorità è stato designato Antonello Soro – il medico, primario ospedaliero in quota PD – e Vice-Presidente Augusta Iannini , in quota PDL.

Anche per queste “elezioni” nessun brivido e nessuna sorpresa, essendo note ormai da giorni.

Innegabile che la circostanza che il Presidente di un Autorità indipendente ed il suo Vice, possano essere etichettati – senza tema di smentite – come “in quota” ai due principali partiti politici, faccia sorridere se accostata al requisito di indipendenza che dovrebbe contraddistinguere l’Autorità, i suoi membri e la loro azione.

Come può un’Autorità nella quale ciascun membro è in quota a questo o a quel partito garantire indipendenza allorquando si troverà ad affrontare questioni legate proprio ai partiti politici o a vicende – peraltro frequenti – nelle quali i loro leader sono coinvolti?

E poi che senso ha che il Parlamento debba nominare, con voto segreto, dei membri la cui sponsorship partitica è a tutti nota? E ancora, come si fa a considerare rispettata la legge se l’elezione di un presidente e di un vice-presidente che il Codice privacy attribuisce a quattro membri che, nei giorni scorsi, si sono incontrati per la prima volta, produce, come risultato esattamente quello suggerito dai partiti?

I quattro membri nominati – sebbene non senza qualche perplessità connessa, in particolare, alla straordinaria assenza di competenze informatiche nel nuovo Collegio dell’Authority in aperta violazione di quanto previsto dalla legge ed in assoluta controtendenza rispetto alle questioni con le quali il Garante si troverà a confrontarsi – sono, probabilmente, persone degne e capaci alle quali non possono che andare gli auguri di una proficua attività.

Il punto, tuttavia, non sono i nomi degli “eletti” dai partiti ma, appunto, il metodo utilizzato, sino all’ultimo, per la loro nomina e per quella di Presidente e Vice presidente.

In attesa che i giudici amministrativi – ai quali molte associazioni della società civile e candidati stanno per far ricorso –  dicano la loro, la legittimità delle procedure di nomina seguite pare messa in crisi dalla disciplina europea.

Cominciamo dal principio.

Se c’è una certezza è che se fosse già entrato in vigore il nuovo Regolamento UE sulla disciplina della privacy in Europa – il che accadrà solo tra qualche anno – i membri dell’Authority non avrebbero potuto essere eletti secondo la procedura seguita in questa occasione e se eletti avrebbero potuto, in qualsiasi momento – e, probabilmente, potranno all’indomani dell’entrata in vigore del Regolamento – essere revocati.

Sebbene sia sfuggito ai più – e certamente ai partiti, preoccupati solo di soddisfare i propri egoistici appetiti di poltrone – infatti, il nuovo Regolamento chiarirà definitivamente ciò che, a ben vedere – e da qui i dubbi attuali circa la legittimità di quanto accaduto – che “I membri sono scelti tra personalità che offrono ogni garanzia di indipendenza e che possiedono un’esperienza e competenze notorie per l’esercizio delle loro funzioni, in particolare nel settore della protezione dei dati personali.”.

Lo stesso Regolamento, inoltre, aggiunge che “I membri possono essere rimossi … dall’autorità giurisdizionale nazionale competente qualora non siano più in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio delle loro funzioni”.

Nessun dubbio che le nomine appena svoltesi nel nostro Paese non siano conformi alla legge UE che verrà e pochi dubbi che, una volta che la nuova legge sarà entrata in vigore, un Giudice constatata l’assenza in capo ai membri ed al collegio nel suo complesso dei necessari requisiti, potrà disporne la revoca.

E’ un peccato e ci si doveva pensare prima.

Ora, per anni, l’intera attività del Garante privacy sarà a rischio di essere travolta da una declaratoria di illegittimità delle nomine che, inesorabilmente, potrebbe travolgere anche tutti gli atti assunti dall’Authority.

Ma potrebbe non essere necessario attendere così a lungo.

A ben vedere, infatti, le nomine appaiono incompatibili già con la disciplina europea, allo stato, vigente.

L’indipendenza delle procedure nazionali di nomina delle Autorità è, infatti, già principio sancito in modo inequivoco dall’Attuale direttiva dell’Unione Europea in materia di trattamento dei dati personali (la 95/46 CE) che, al considerando n. 62, espressamente chiarisce che “la designazione di autorità di controllo che agiscano in modo indipendente in ciascuno Stato membro è un elemento essenziale per la tutela delle persone con riguardo al trattamento di dati personali”.

Tale indicazione, peraltro – unitamente ad altre disposizioni contenute nell’ordinamento europeo – è stata di recente interpretata dalla Corte di Giustizia UE in una Sentenza con la quale ha stabilito che la Germania ha violato le norme UE, sottoponendo le proprie Authority per la privacy, sotto la vigilanza dello Stato.

Se un’Authority non sufficientemente indipendente dallo Stato è fuori legge, impossibile pensare che non lo sia un Authority per nulla indipendente dai Partiti.

Alcuni passi della Sentenza della Corte di Giustizia sono illuminanti per capire perché quanto accaduto è di inaudita gravità e perché è lecito dubitare della legittimità delle nomine.

Val la pena di richiamarne alcuni.

“La garanzia dell’indipendenza delle autorità nazionali di controllo è diretta ad assicurare l’efficacia e l’affidabilità del controllo del rispetto delle disposizioni in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e deve essere interpretata alla luce di tale finalità.”

E, ancora: “Inoltre, occorre sottolineare che il solo rischio che le autorità di vigilanza possano esercitare un’influenza politica sulle decisioni delle autorità di controllo è sufficiente ad ostacolare lo svolgimento indipendente delle funzioni di queste ultime. Da un lato, come rilevato dalla Commissione, vi potrebbe essere un’«obbedienza anticipata» di tali autorità, in considerazione della prassi decisionale dell’autorità di vigilanza”.

Se quanto scrivono i Giudici vale per le Autorità statali chiamate a vigilare sull’operato delle Authority, come si fa a non ritenere che valgano a maggior ragione per i Partiti ai quali, ciascuno dei membri nominati devono la loro nomina?

Perentoria, d’altra parte, la conclusione dei Giudici di Lussemburgo: “l’indipendenza delle autorità di controllo, relativamente alla circostanza che devono essere sottratte a qualsiasi influenza esterna idonea ad orientare le loro decisioni, è un elemento essenziale alla luce degli obiettivi della direttiva 95/46. Detta indipendenza è imprescindibile al fine di realizzare, in tutti gli Stati membri, un livello ugualmente elevato di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e in tal modo contribuisce alla libera circolazione dei dati, la quale è necessaria per l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno”.

Più chiaro di così.

L’ombra lunga della disciplina europea incombe minacciosa sulle nomine del nostro Garante privacy.

Corriamo il rischio, ancora una volta, di fare una pessima figura agli occhi del resto d’Europa e, se dovesse accadere, la responsabilità sarà, esclusivamente, dell’ingordigia nei nostri Partiti.

 

[Pubblicato su l'Espresso Blog il 23 giugno 2012]


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